Siamo nella Germania nazista alle fine del’43. Jacob, Anita e Sarah Goldman, una famiglia ebrea di Berlino, vittima delle persecuzioni anti semite del regime di Hitler, vengono internati a Terezin, una città fortificata ad una cinquantina di chilometri da Praga. Inizialmente, come molti altri ebrei tedeschi, credono che si tratti di privilegio e s’illudono che Terezin sia davvero “la città donata da Hitler agli ebrei, una zona autonoma di insediamento ebraico dove poter vivere in pace, dotata addirittura di terme!”. Purtroppo la realtà è drammaticamente un’altra e lo comprendono appena arrivati, “con il cuore pesante come piombo”, in quanto vengono subito interrogati dalle SS, minuziosamente perquisiti fino alle lacrime e privati di ogni oggetto di valore. Terezin si rivela infatti un lager di passaggio che li condurrà poi ai campi di sterminio. Qui la sedicenne Sarah Goldman affronta quotidianamente, come tutti gli altri, la durezza del lavoro, la terribile fame e le malattie. Nonostante ciò, “con dolcezza testarda”, la bella Sarah, secca come un filo di ferro, riesce ad andare avanti: trova un’amica, Helga, suona il violino, frequenta la Casa delle Giovani dove studia di nascosto e, come ogni adolescente, continua a sperare e a sognare. Conosce così l’amore, ma un amore drammatico, perché il giovane Franz, che lei ama è un nazista, ovvero “il nemico”. Cosi la ragazza ebrea e il giovane nazista sono costretti a vivere una storia segreta e proibita, intensa ed amara al tempo stesso, ovvero un amore fatto più d’ombra che di luce, come recita il titolo stesso del romanzo. Si incontrano di nascosto, di notte, nella stanza di Franz o nell’ infermeria; lui le porta sempre qualcosa da mangiare che lei divora avidamente in un attimo; fanno l’amore e si tengono stretti stretti, donandosi reciproca forza. Ma alla fine vengono scoperti dal malvagio nazista Kurt e Franz capisce che esiste una sola via di salvezza: prima strangola Sarah, con le stesse mani che l’hanno amata poi si spara, ponendo così fine “al loro strano e disperato amore, quell’amore che è come un fiume notturno, interminabile e lento, che scivola nel buio”. Il romanzo, come tanti altri simili, dal Diario di Anna Frank a Il bambino con il pigiama a righe di Boyne, ci pone dinnanzi al dramma dell’Olocausto, ovvero del genocidio perpetrato dalla Germania nazista e dai suoi alleati nei confronti degli ebrei d’Europa, uno sterminio che causò in pochi anni la morte di circa 5-6 milioni di ebrei, di ogni sesso ed età.
In molte pagine si rimane smarriti di fronte alla spietatezza nazista, come quando Sarah incontra per un attimo il padre che, con rassegnazione, le dice di esser diventato molto abile nel frugare nei rifiuti, riuscendo così a cibarsi di bucce di patata o di rape andate a male; o come quando Sarah ed Helga trascorrono le notti sussurrando al buio e grattando i loro corpi devastati dalle cimici. Su tutto e tutti aleggia odore di morte, che nasce dalle epidemie di tifo, dalla fame straziante fino ai topi, alle pulci e ai pidocchi che tormentano i corpi.
Il libro mostra innanzitutto la tenacia della giovane Sarah che, in una realtà tanto avversa, e ridotta a pelle ed ossa, tenta di avere una vita normale, quella che ogni adolescente meriterebbe, fino ad osare di amare “il nemico, ovviamente all’ombra della follia nazista”. Da qui il titolo, potentissimo, che mette il risalto l’impossibilità di un amore sereno e tranquillo, da poter vivere alla luce del sole, ma la necessità di occultare il più possibile sensazioni ed emozioni. Colpiscono lo scavo psicologico dei personaggi e l’accurata analisi dei loro comportamenti nel vivere una storia intensa e dolorosa al tempo stesso, dal timore iniziale, nella consapevolezza di essere “lui il guardiano e lei la prigioniera”, fino al tragico e sofferto epilogo.
Oltre all’ amore, emerge anche il sentimento di amicizia fra Sarah ed Helga: quasi sorridiamo, ma amaramente, quando Helga dona a Sarah un finocchio fresco rubato per lei la mattina nell’orto, finocchio che mangiano poi insieme al buio, lentamente, per farlo durare il più a lungo possibile! Ma rimaniamo poi delusi quando, di fronte alla confessione di amare Franz, Helga toglie a Sarah il saluto e la parola, perché Franz resta pur sempre “un nazista, un terribile aguzzino della razza ebrea”. Fino alla loro tragica separazione quando, dopo essersi riconciliate, Helga viene portata via, sola e malata, da uno dei tanti “treni per l’Est” che deportano quotidianamente i miseri ebrei di Terezin verso la morte certa dei campi di sterminio.
Gli autori, con grande forza narrativa, mettono anche in evidenza la tenacia degli ebrei deportati a Terezin, la loro compostezza, nonostante la brodaglia del pranzo, il letto infestato dalle cimici, i lavori forzati in mezzo alla neve e le malattie come tifo, epatite, tubercolosi, che li sterminano in migliaia. Soprattutto colpisce la loro fede in un futuro possibile, nonostante la desolazione del presente e le disumane condizioni di vita.
E’ una narrazione delicata ed emozionante, che porta con sé un forte messaggio di speranza e che ci invita a non dimenticare mai le atrocità del passato. In un contesto storico allucinante, impregnato dell’ “odore della morte”, gli autori riescono a creare un’intensa storia d’amore, dedicata a tutti gli innamorati che osano amare nonostante tutto, perché “l’amore è la capacità di avvertire il simile nel dissimile”.
Nicolò Lorenzetti III A scuola media “Lorenzini”
Il libro è stato scritto da Silvia Roncaglia e Antonio Ferrara; la casa editrice è la Salani Editore; è un romanzo storico composto da 154 pagine.
Il romanzo racconta la storia di una famiglia ebrea, i Godman, che dopo essere stati perseguitati dalla guerra e dalle leggi razziali vengono internati a Terezin, una città fortificata ad una cinquantina di chilometri da Praga, dove gli Ebrei muoiono e vengono deportati con periodici treni ad Auschwitz, mentre si cerca di dare l’ illusione di una nuova patria ebraica.
Essendo i Godman degli Ebrei tedeschi ricchi si illudono, come tante altre famiglie, di andare a vivere in una città interamente ebraica, donata da Hitler per la loro razza come un trattamento privilegiato.
Purtroppo infatti la realtà è ben diversa: quella città tanto bella non è altro che un ghetto-lager, un’ anticamera per i campi di concentramento.
In un ambiente così rude, Sarah, la giovane figlia dei Godman viene separata dalla sua famiglia e si ritrova sola fra scene quotidiane orrende, malattie e privazioni.
Nonostante tutto cerca di crearsi una vita normale, anche in un simile ambiente, suonando il suo violino, parlando con un’amica, continuando a sognare, conoscendo l’amore.
Ecco … proprio l’ amore. Un amore strano e tormentato con un giovane delle SS, Franz: il nemico!
I due cercano di amarsi, pur trovandosi in posizioni opposte di pensiero, in un mondo dove domina l’odio. Vivono un amore fatto più di ombra che di luce, più di paura che di tranquillità, più di speranza che di dispiacere.
Il libro affronta diversi temi, ma tra tutti protagonista è l’amore contrastato ed impossibile su uno sfondo di dolore e disperazione.
Il tema dunque che sopra a tutti domina l’ intera vicenda e scandisce il tempo di vita delle persone internate e dei protagonisti è l’Olocausto, ossia la persecuzione degli Ebrei; ne consegue la violenza, l’ inganno, il disprezzo, l’ arroganza nei confronti di persone considerate di razza inferiore.
“Cuori d’ombra” è infatti una buona fonte di raffronto fra la società odierna dove il benessere abbonda e la condizione da sfollati di quel periodo. Visto che anche gli Ebrei, prima di essere internati vivevano agiatamente e sono andati a finire in estrema povertà, con massima velocità; potrebbe succedere anche a noi, se ci trovassimo con persone potenti che ci odiano e auspicano alla nostra fine. E’ perciò un tema che pur se sembra lontano e irraggiungibile si può verificare in qualsiasi epoca storica, persino nel piccolo della vita quotidiana quando sei mal visto ed invidiato.
Un episodio interessante del libro che mi è rimasto impresso e terrei a citare è l’arrivo della Croce Rossa al campo di Terezin. Essa avrebbe dovuto controllare lo stato in cui venivano tenuti gli Ebrei. Naturalmente i soldati tedeschi montarono per l’occasione scivoli, giochi per i più piccoli, negozi, locali, teatri, spettacoli per mostrare al mondo la bellezza della città. Gli Ebrei dovevano recitare la parte dei cittadini felici pena la morte se si sarebbero ribellati.
Quando la Croce Rossa arrivò tutto funzionò alla perfezione, sembrava di girare un film, ognuno aveva una parte. Peccato anche che la verità non venne a galla e la Croce Rossa se ne andò convita del buon livello di vita nel campo.
Alcuni Ebrei che cercavano di boicottare l’incontro furono fucilati e rimasero solo i commenti isolati di qualche adulto: “Forse siamo dei vigliacchi. Stiamo collaborando con i Tedeschi. Nessuno scoprirà mai la verità!”. Ma immediatamente qualche altra voce sussurrava: “Dobbiamo farlo per i bambini, per proteggerli …”. E’ proprio su questo concetto che si basa l’intero romanzo: la speranza, la speranza che tutti gli Ebrei di Terazin avevano fino alla fine. Quella speranza di salvezza che li ha portati ad essere impotenti, a subire senza reagire. Purtroppo quel sentimento di protezione verso i bambini fu proprio la loro rovina.
E’ quindi un episodio che mi è rimasto impresso negativamente come un gesto di complicità da parte delle vittime con il carnefice! Potevano in qualche modo ribellarsi, in fondo non avevano nulla da perdere, il posto dove alloggiavano assomigliava di più a un porcile che a un insediamento umano.
Purtroppo la speranza, quel sentimento di sopravvivenza, in qualche modo perseverava nei loro animi. Non dico che la speranza sia negativa, tutt’altro ma dovrebbe essere usata come il motore per azionare l’ obbiettivo da raggiungere: la libertà. Ma quest’ultima in un ambiente del genere sarebbe potuta scaturire solo grazie all’azione, alla ribellione. Un po’ come accadde nell’ antica Roma quando Spartaco, gladiatore e schiavo, decise con un piccolo gruppo di combattenti di ribellarsi al sistema marciando verso Roma solo per la libertà, nient’altro, non il potere, solo la semplice e giusta libertà!
I personaggi principali del libro sono due: Franz e Sarah. Intorno a loro ruotano figure secondarie come Helga, l’amica di Sarah, o Kurt, lo sfacciato e spietato compagno di Franz. Entrambi, Helga e Kurt, odiano le loro corrispondenti razze opposte: lei, ebrea, detesta i tedeschi; lui, soldato delle SS odia gli Ebrei; vi sono inoltre adulti e persone disperate come Friedl, la maestra di disegno o Edith, una ragazzina di undici anni piena di paure e visioni notturne su bambini ebrei che vanno a morire caricati su quei treni.
Le caratteristiche rilevanti dei due protagonisti, non compaiono molto chiaramente come mi sarebbe piaciuto e avrei sperato. Infatti posso fare solo delle ipotesi sulle loro personalità in base alle azioni compiute. Inizialmente il loro amore mi è sembrato più di comodo, un amore in cui Franz poteva avere una bella ragazza con cui passare la notte e Sarah un uomo che le desse da mangiare. Poi con il tempo l’autrice trasforma tutto questo in un amore sfrenato e intenso, un amore che a me sembra quasi impossibile. Infatti credo che questa passione nasca anche dal fatto che entrambi i giovani si sentano schiavi del nazismo. Franz è un soldato che deve sottostare agli ordini, guai la morte. Sarah è perseguitata dal regime nazista. Entrambi cercano di vivere una vita normale, libera con l’amore. La differenza che li separa: lui è il carnefice e lei è la vittima, così almeno sembra. Ma entrambi sono tedeschi e quindi dovrebbero avere abbastanza in comune. L’autrice non si sofferma molto sulle loro personalità ma sulla storia d’amore. Secondo me questa è una mancanza, che mi avrebbe aiutato ad apprezzare di più il libro.
Inoltre il romanzo nasconde notevoli ambiguità anche nel finale quando Franz soffoca al collo Sarah e poi si uccide con un colpo di pistola. Egli infatti ha saputo che fra poco tempo sarebbero arrivati i Russi ad occupare il territorio con la conseguente liberazione degli Ebrei e l’uccisione delle SS come lui, e che nella lista per il prossimo treno in partenza per Auschwitz sarebbe comparso anche il nome di Sarah. Quindi per amore decide di ucciderla con le stesse mani che l’hanno amata, per poi togliersi anche lui la vita.
Sarah sembra aver capito le intenzioni di Franz ma l’autrice, Silvia Roncaglia, lascia sempre questo punto di domanda.
I due giovani non sembrano essersi messi d’accordo sul loro destino e Sarah assomiglia molto “a una barchetta in balia della corrente, una bambola di pezza fra le mani del nemico”, proprio usando i termini del libro. Questo particolare non mi è per niente piaciuto e ha influito maggiormente sulla mia critica al libro.
Tutte le decisioni sembrano venire da Franz visto che è lui che comanda, è lui il superiore: ma allora che genere di amore è? Sembra solo un aggrapparsi reciprocamente in una situazione disastrosa, dove la speranza fatica a rimanere a galla. E come ho già detto la speranza domina il libro e domina anche l’amore, un amore passivo da parte di entrambi, a mio parere, un sentimento che si conclude solo con la morte.
I protagonisti sono due deboli che non osano ribellarsi, ma solo amare, proprio come gli Ebrei di Terezin pensavano solo a sperare.
Amore e speranza non portano da sole la libertà, quest’ ultima bisogna conquistarla!
Persino i due protagonisti si mettono fuori gioco, forse per paura o perché troppo giovani, uccidendosi! Ma non sono degli eroi solo perché “hanno osato amare comunque” secondo il pensiero dell’autrice: sarebbero stati dei veri eroi, secondo me, se avrebbero tentato di reagire, in fondo non avevano molto da perdere.
La storia si svolge nel passato, più precisamente nella Germania del 1943.
Le parti descrittive e narrative sono equilibrate fra loro.
Il linguaggio dell’autore è molto semplice, con accenni poetici in alcune parti.
La vicenda è comunque narrata con ritmo incalzante, veloce, quasi come se si sorvolasse sopra a tutto come una nuvoletta piena di poesia a preannunciare l’ imminente tragedia, personale e non solo, che si sarebbe di lì a poco consumata.
A mio parere l’autrice ha voluto descrivere una storia d’amore nata in un ambiente dove solo l’odio era giusto. E’ questo il fulcro dell’ intera vicenda.
Se dovessi trovare un titolo alternativo al romanzo sceglierei “Terezin, la città immaginaria” proprio per sottolineare il valore storico che questa illusione ebbe per gli Ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale!
Fiammetta Carlotta Ciattaglia III A scuola media “Lorenzini”
Sarah e la sua famiglia sono una delle tante famiglie ebree internate a Terezin con l’inganno. Appena arrivati nella città promessa da Hitler agli Ebrei la famiglia viene separata. Con molta difficoltà Sarah si abitua alla dura vita del campo. Le regole sono molte rigide, ogni singolo sgarro ha le sue conseguenze, come dimenticarsi di scendere dal marciapiede alla vista di un ufficiale. Ma questa non è solo la storia di Sarah: è anche la storia di Franz un giovane ufficiale delle SS di appena vent’anni. Quando Sarah è giunta a Terezin, Franz nota la sua bellezza, ma è consapevole che con il tempo sarebbe svanita. Invece no, Sarah, anche se pelle ed ossa, riesce a far battere intensamente il cuore del giovane ufficiale, che si accorge sempre più che quello che prova è vero amore. Come può un ufficiale nazista innamorarsi di una quindicenne ebrea appartenete ad una razza inferiore? Franz non resiste, deve vederla, deve accarezzare i suoi cappelli; così la chiama e la porta da lui in camera sua, anche se potrebbe essere impiccato o fucilato. L’accudisce, la coccola, le dà da mangiare, poi la lascia andare.
I loro incontri clandestini si ripetono più volte e anche Sarah, sente dentro di sé sta nascendo qualcosa, ma se ne vergogna, perché a Terezin, solo l’odio e il disprezzo sono ammessi, non l’amore. Mentre la romantica storia tra i due nemici continua, Franz viene informato che il 23 giugno ‘44 la Croce Rossa Internazionale, per ordine della Danimarca, deve visitare Terezin per constatare la condizione degli Ebrei deportati. Tutti gli ufficiali sono tenuti ad impegnarsi per migliorare l’aspetto dei detenuti e selezionare quelli troppo osceni e scandalosi per allontanarli. Vengono costruite scuole, bar e negozi, viene girato un film-documentario e a Sarh viene assegnata una parte: Terezin sembra il paradiso, ma nulla deve essere lasciato al caso. Essendo molti gli Ebrei internati, bisogna far credere che la città non sia molto affollata; così partono le famiglie, i bambini, i nonni, partono con i treni della morte, per non tornare mai più. Finalmente il 23 giugno è arrivato. Tutti i prigionieri sono stati addestrati, devono sorridere, guai a chi non sorride. I portavoce della Croce Rossa rimangono colpiti da come vengono trattati tutti i deportati e così scrivono una recensione ottima. Il piano è riuscito, tutti hanno svolto al meglio la loro parte; ma ora Terezin deve tornare il luogo macabro di sempre.
Tutto torna come prima, anche gli incontri notturni tra Sarah e Franz continuano, sanno che è rischioso, ma si incontrano. I giorni passano, la gente continua a partire e a morire.
Franz esce dal campo, vuole respirare un’aria diversa, non quella che sa di carne bruciata. Mentre osserva il fiume Ohre che scorre, Franz sente delle voci e con discrezione si orienta verso esse e scopre che chi sta parlando sono due ufficiali, due suoi compagni. Incuriosito si avvicina per ascoltare e scopre che stanno parlando di lui e di Sarah. Hanno capito tutto e stanno progettando come umiliare sia l’ebrea che l’ufficiale. Così rientra a Terezin, prende Sarah, quella ragazza che troppo in fretta è diventata una donna, l’accarezza, l’abbraccia, poi…le toglie l’aria, la vita. Ora tocca a lui, la pistola è già carica, le dita sono già sul grilletto e rimbomba il suono dello sparo.
Il romanzo mi è piaciuto, perché pur essendo storico, e trattando il tema della deportazione degli ebrei, si incentra sul tema dell’amore. Di questo romanzo mi è piaciuto particolarmente il finale:
“Franz si alza, trascina gli stivali sulla terra ghiacciata, cammina nella neve con la sua donna in braccio, come una sposa. Poi cade in ginocchio. Le mette le mani attorno alla gola, come una collana. Un rantolo viene dal fondo del buio, sapore di sangue, l’aria è finita. Poi riecheggia lo sparo. La neve abbraccia il sangue. L’amore resta nella terra addormentata”. È la mia parte preferita, perché non è un finale scontato.Credo che tutti si siano immaginati il lieto fine, la solita storia d’amore banale con il finale “e vissero per sempre felici e contenti”: questo è un epilogo che, appena svelato, lascia l’amaro in bocca, che ti permette di ragionare, di capire quanta disperazione c’era sia da parte degli Ebrei che di alcuni ufficiali e di chiedersi se il gesto che ha compiuto Franz nei confronti di Sarah sia un atto di vero amore. Gli autori del romanzo hanno utilizzato un linguaggio semplice, ma in realtà ogni pagina nella sua semplicità, nasconde dei momenti lirici che inducono a guardare oltre le parole, per cui consiglierei questo libro ai ragazzi.
Chiara Pinca III A scuola media “Lorenzini”
Sarah vive con la sua famiglia a Berlino, quando il padre Jacob viene a sapere della “città regalata da Hitler agli ebrei” (così la dipinge la propaganda nazista) vi si vuole trasferire, pensando che sia un luogo bellissimo; ma a Terezìn riceve un’amara delusione: la famiglia viene divisa e costretta a lavorare in pessime condizioni, internata in un campo di concentramento tedesco. Qui Sarah conosce e diviene amica di Helga. Le due ragazze si sostengono a vicenda e condividono quel poco che hanno da mangiare, anche quando una delle due riceve qualcosa in più dell’altra. Sarah lavora
come ordennanz, cioè consegna le lettere a chi deve partire per Auschwitz. Inizialmente ne ignora il contenuto: se ne accorgerà in seguito, vedendo le persone preoccupate al suo arrivo con i dispacci. A Terezìn il Consiglio Ebraico fa quello che può per migliorare le condizioni di vita degli internati, ma ciò non deve indurci a pensare che la città fosse davvero governata dagli ebrei, infatti il consiglio fa esclusivamente quello che ordina la Gestapo, come stilare le liste di chi deve “partire
con i treni per l’Est”, stipati come bestiame nei carri. L’ordine di partire arriverà anche per i genitori di Sarah.
Nella scuola, i bambini ebrei studiano con i loro maestri e, all’arrivo delle SS nascondono i libri fingendo di cantare e disegnare, perché solo questo è consentito loro dai tedeschi (dal momento che “l’istruzione fa nascere idee proibite”).
Franz, una SS del campo, si innamora a prima vista di Sarah. Egli un giorno, mentre la ragazzina ebrea è in fila per mangiare, la prende con sé per condurla alla mensa degli ufficiali, dove le offre del “vero cibo”: non quella brodaglia, che distribuiscono alla mensa comune. I due iniziano a frequentarsi di nascosto, sempre con il timore di essere scoperti. Una SS invidiosa, Kurt, si accorge della loro relazione e stuzzica Franz, divertendosi a vedere come reagisce alle sue provocazioni.
Sarah ha bisogno di confidarsi con qualcuno: racconta di Franz ad Helga. L’amica, però, non la comprende, la considera una traditrice e da quel momento la ignora: non le siede vicino durante le lezioni e non le rivolge più la parola.
A Terezìn, le giornate si fanno sempre più dure fino a quando si diffonde la voce di una visita ispettiva della Croce Rossa Internazionale, perché la Danimarca vuole conoscere la sorte dei ”suoi” ebrei.
Nel campo c’è gran fermento: i tedeschi devono allestire, in poco tempo, una città ospitale e far sembrare i suoi inquilini benestanti signori.
Per l’occasione sono distribuite parti da recitare a tutti gli abitanti, che hanno l’obbligo di apparire felici; gli “impresentabili”, avendo esaurito tutta la loro forza vitale, più simili a larve che a uomini, non riescono più a sorridere, vengono quindi fatti sparire mediante deportazione. Gli internati che avessero contravvenuto agli ordini loro impartiti dalle SS, insospettendo gli ispettori riguardo alle reali condizioni di vita nel campo, sarebbero stati severamente puniti.
Tra gli impresentabili c’è anche Helga, che è malata: le due ragazze hanno il tempo di riavvicinarsi e di abbracciarsi per un’ultima volta prima della loro separazione definitiva. Il giorno dell’ispezione gli ebrei sono “liberi”, devono fingere che la loro vita sia normale: ammirano le vetrine piene di vestiti (gli stessi indumenti che hanno visto sottrarsi all’arrivo), i bambini si divertono nei parchi (trovano ancora la forza di giocare in quell’inferno), mangiano del buon cibo (non i soliti scarti), camminano su strade pulite.
I soldati tedeschi distribuiscono ai bambini ebrei della cioccolata che, terminata la visita, dovranno restituire; solo alcuni hanno il permesso di mangiarla per rendere il tutto più credibile.
La farsa riesce, i delegati della Croce Rossa non si accorgono di nulla: i tedeschi possono festeggiare, perché i detenuti, ben ammaestrati, hanno recitato alla perfezione la loro parte.
La vita torna come prima, ma Franz è profondamente cambiato: non ha approvato l’ignobile farsa del lagerkommandant, ha preso finalmente coscienza dell’orrore che lo circonda, capisce la sofferenza di quell’umanità annientata nello spirito e nel corpo; per la prima volta ha vergogna di sé stesso, della divisa che indossa e della sua razza, che lo ha cresciuto nell’odio. Quando lui e Sarah sono sorpresi insieme da Thomas, inviato da Kurt, che lo sospetta di frequentare un’internata, il giovane sa che saranno puniti, nel migliore dei casi, con l’impiccagione. Deve prendere subito una decisione estrema; va alla ricerca di Sarah, la trova che si accinge a mettersi in coda per la zuppa e la prende tra le braccia l’ultima volta. La ragazza, che ha capito che il loro amore è senza speranza, lascia che Franz le tolga la vita e che poi sopprima la propria con un colpo di pistola. Gli ebrei all’ingresso nel campo vengono spogliati di tutti i loro averi, ma soprattutto privati della loro dignità di esseri umani, perché costretti a lavorare in condizioni disumane, a patire il freddo, la fame, mentre le cimici li mangiano vivi. Sottoposti ad una disciplina ferrea, che li trasforma in automi, sono flagellati dalle malattie e quando diventano inutili vengono gettati via come cose inservibili.
Questa è la sorte cui nessuno sfugge nel campo dove non c’è posto per la pietà in nome di una presunta superiorità razziale.
III B scuola media “Lorenzini”
Nicolò Lorenzetti e Fiammetta Carlotta Ciattaglia, della III A della scuola media “Lorenzini”, sono stati i vincitori, nella sezione “recensione” del concorso sulla letteratura della Shoa “Accendi la memoria”, giunto alla quarta edizione e promosso dal liceo classico “V. Emanuele II” di Jesi.
I testi degli studenti sono sul libro “Cuori d’ombra”, di Silvia Roncaglia e Antonio Ferrara, edito da Salani.
Sabato 9 aprile Silvia Roncaglia è a Jesi per la Festa del Libro per Ragazzi – II edizione